IL SEGRETO AZIENDALE

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L’art. 2105 c.c. vieta al lavoratore di divulgare notizie attinenti all’azienda e ai suoi metodi di produzione, o di farne uso in modo da recarle danno o pregiudizio. Tuttavia, è importare ricordare che secondo un orientamento dottrinale il diritto al segreto è diverso rispetto a quello alla riservatezza. Mentre quest’ultimo consiste nel potere di impedire a terzi l’accesso a spazi privati e preesiste al contratto di lavoro, il primo consiste nella pretesa a che le notizie di cui il terzo sia venuto a conoscenza non siano divulgate, e trova fondamento nel contratto di lavoro.

Obbligo di non concorrenza

L’obbligo di non concorrenza è teso a tutelare l’azienda dai vantaggi che il lavoratore o i terzi potrebbero trarre dalle informazioni giunte all’esterno dell’impresa stessa.

La prima questione da affrontare è stabilire quali siano le informazioni protette, nelle quali comunque non si annoverano le cognizioni tecniche e specialistiche che fanno parte del bagaglio professionale del lavoratore (Cass. n. 5708/1985). La giurisprudenza è concorde nel ritenere che la norma abbia un’ampia interpretazione, cioè riferita a qualsiasi dato influente sull’attività concorrenziale del datore di lavoro. Infatti, l’espressione “metodi di produzione” fa da contraltare a quella ben più ampia e generica di “organizzazione dell’impresa” che dovrebbe escludere dalla sfera applicativa dell’art. 2105 c.c. le sole informazioni relative agli aspetti meramente finanziari ed economici. Si è recentemente osservato come la norma imponga di escludere la verifica caso per caso del carattere segreto o riservato della notizia. Infatti, se essa riguarda l’organizzazione dell’impresa o i suoi metodi di produzione ne sono comunque vietati l’uso pregiudizievole e la divulgazione.

Informazioni top secret

L’art. 622 c.p. vieta la rivelazione di notizie delle quali si abbia conoscenza per ragione della propria professione, e dunque presuppone l’esistenza di un nesso causale diretto tra le notizie apprese e le mansioni svolte dal lavoratore. L’art. 2105 c.c., invece, impone il silenzio sulle notizie conosciute per il solo fatto dell’inserimento nell’azienda del datore di lavoro. Mentre l’art. 2105 c.c. vieta la divulgazione delle sole notizie su organizzazione e metodi di produzione e quelle che comunque possono incidere sulla posizione di mercato dell’impresa. L’obbligo di cui all’art. 622 c.p. si estende a tutte le notizie riservate riguardanti l’impresa.

Segreto industriale

Il segreto industriale o scientifico di cui all’art. 623 c.p.,  vieta e punisce la rivelazione di notizie inerenti a scoperte, invenzioni scientifiche o applicazioni industriali, conosciute per ragioni del proprio stato, ufficio, professione o arte. La tutela penale esplica il proprio effetto solo ove vi sia un nesso causale diretto tra le notizie rivelate e le mansioni svolte dal lavoratore.

In giurisprudenza si è ritenuto sussistente il reato di cui all’art. 622 c.p. nel caso in cui il lavoratore, durante il periodo di preavviso, avesse utilizzato le informazioni tecniche e commerciali relative all’impresa datrice di lavoro per formulare un’offerta più vantaggiosa che consentisse al futuro datore di lavoro di aggiudicarsi un appalto a discapito dell’altro. Si è inoltre affermato che costituisce reato, oltre che giusta causa di licenziamento, il comportamento del funzionario di banca che renda nota a terzi l’esposizione debitoria di un cliente. La Cassazione ha affermato che se da un lato non è indispensabile che il segreto industriale sia coperto da brevetto. In conclusione la Cassazione afferma che si debba fare riferimento a un criterio di ragionevolezza sostanzialmente coincidente con l’ambito di applicazione dell’art. 2105 c.c. (Cass. n. 25008/2001).

Diritto dell’imprenditore al segreto

Una questione di particolare rilievo è quella relativa ai limiti del diritto dell’imprenditore al segreto, che derivano dall’esigenza di salvaguardare altri diritti di pari rilevanza e, pertanto, se in talune circostanze il lavoratore sia legittimato a rilevare le notizie coperte da segreto. In proposito, si può distinguere il caso in cui il lavoratore utilizzi e divulghi le notizie per finalità riconducibili ad interessi pubblici, quali ad esempio il diritto alla salute, per scopi sindacali oppure per interessi individuali o per futili motivi. Si afferma tuttavia anche che, laddove non siano in gioco diritti fondamentali della persona, prevarrebbe sempre il diritto al segreto aziendale.

Reato di furto

La sottrazione di documenti aziendali al fine di produrli in giudizio contro il datore di lavoro è stata ritenuta, secondo un primo orientamento, oltre che in contrasto con i doveri di cui all’art. 2105 c.c. (Cass. n. 3156/1985) anche integrante gli estremi del reato di furto, rispetto al quale non sarebbe nemmeno ravvisabile l’esimente dell’esercizio del diritto, perché il giudice può sempre ordinare l’esibizione dei documenti al datore di lavoro (Cass. n. 516/1983). Invece, l’orientamento più recente, ha adottato soluzioni più attenuate. Sulla scia di queste sentenze si è affermato che la riproduzione dei documenti aziendali è fattispecie diversa e senz’altro più lieve rispetto alla loro sottrazione; che nel caso di riproduzione di documenti in giudizio non può certo parlarsi della loro divulgazione e che il diritto di difesa garantito dall’art. 24 della Cost. prevale sull’esigenza di riservatezza dell’impresa (Cass. n. 6420/2002).  

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